Ius soli o non ius soli? Questo è il problema
Si infiamma il dibattito sullo ius soli in Italia.
Nel mese di giugno scorso, le associazioni L’Italia sono anche io e Italiani senza cittadinanza hanno convocato una manifestazione di protesta a Torino e a Roma per chiedere che il senato voti il prima possibile il disegno di legge 2092 per la riforma della cittadinanza, già approvato dalla camera il 13 ottobre 2015 e bloccato per un anno e mezzo in commissione affari costituzionali di palazzo Madama a causa dei numerosi emendamenti presentati dalla Lega nord.
Tra uno scontro e l'altro alla Camera e al Senato, prima di un vero e proprio "eventuale "disegno di legge e dell'approvazione da parte del Parlamento della normativa che attribuirebbe agli stranieri nati in Italia la cittadinanza italiana, facciamo il punto su questa nozione così astratta che è lo "ius soli".
Secondo le norme attuali, in vigore dal 1992, un ragazzo nato in Italia da genitori stranieri può richiedere la cittadinanza entro un anno dal raggiungimento della maggiore età. Deve però essere stato residente in Italia legalmente e senza interruzioni dalla nascita.
Il nuovo disegno di legge non prevede lo ius soli, cioè il diritto ad acquisire la cittadinanza per tutti quelli che nascono sul territorio italiano. La proposta di legge introduce invece uno ius soli temperato, prevede cioè che possano ottenere la cittadinanza italiana i bambini stranieri nati in Italia che abbiano almeno un genitore in possesso del permesso di soggiorno permanente o del permesso di soggiorno europeo di lungo periodo. L’acquisizione della cittadinanza non sarà automatica, ma ci sarà bisogno di farne richiesta. Per ottenere la cittadinanza servirà una dichiarazione di volontà espressa da un genitore o da chi esercita la responsabilità genitoriale all’ufficiale dello stato civile del comune di residenza del minore, entro il compimento della maggiore età. Chi non presenta questa dichiarazione, potrà fare richiesta della cittadinanza entro due anni dal raggiungimento della maggiore età. In ogni caso, per chiunque nasce e risiede in Italia legalmente e senza interruzioni fino a 18 anni, il termine per la richiesta della cittadinanza passerà da uno a due anni dal compimento della maggiore età.
In base alla riforma, potrà ottenere la cittadinanza anche il minore straniero nato in Italia o arrivato qui prima di compiere dodici anni che abbia frequentato regolarmente la scuola per almeno cinque anni o che abbia seguito percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali idonei a ottenere una qualifica professionale. Se ha frequentato la scuola primaria, deve avere completato il ciclo con successo. La richiesta della cittadinanza deve essere presentata da un genitore, che deve avere la residenza legale in Italia, oppure dalla persona interessata entro due anni dal raggiungimento della maggiore età.
Negli altri Stati membri dell'Unione Europea, la questione della cittadinanza a bambini stranieri nati sul territorio nazionale non trova applicazioni omogenee. Le regole per ottenere la cittadinanza non sono uniformi.
Per esempio, in Germania è cittadino tedesco chi è figlio di un cittadino straniero che ha il permesso di soggiorno da almeno otto anni.
È cittadino britannico chi nasce nel Regno Unito (ius soli) anche se uno solo dei genitori è legalmente residente nel paese.
Sono francesi i figli nati in Francia da immigrati nati in Francia e i bambini nati in Francia da genitori stranieri se al compimento della maggiore età hanno avuto la residenza per almeno cinque anni.
In Spagna un bambino diventa cittadino spagnolo se almeno uno dei due genitori stranieri è nato in Spagna.
La cittadinanza irlandese si ottiene se i genitori stranieri risiedono nel paese da almeno tre anni.
Si diventa cittadini belgi, a 18 anni, se si è nati in Belgio.
Insomma, in quasi tutti questi esempi, l'attribuzione della cittadinanza non è automatica, ma vincolata da un certo numero di anni di residenza come elemento aggiuntivo alla nascita sul territorio.
Il sistema italiano previsto dalla riforma si avvicinerebbe a quello inglese, con la sola condizione di residenza legale di almeno uno dei due genitori.
In un Paese come il nostro, ma così in tutti gli Stati, mi viene spontaneo chiedermi: l’italianità è appartenenza culturale o un iter burocratico?
Ora a me sembra che con la legislazione vigente, la persona straniera ha modo di potersi integrare, di guardare alla cittadinanza come al compimento di un percorso culturale. Invece con lo Ius soli si renderebbe tutto talmente più facile e scontato da svuotare di senso l’appartenenza alla comunità nazionale. In questo Paese chi merita e chi davvero ha il desiderio di integrarsi può già farlo.
Lo Ius soli si pone in contraddizione con la meritocrazia. Se un ragazzo d’origine straniera e nato in Italia acquisisce automaticamente la cittadinanza, non si sente più in dovere di affrontare un percorso culturale per raggiungere la piena appartenenza nazionale. La sua unica cultura rimarrebbe quella tramandata dai propri genitori. E, nel caso di famiglie radicali, si tratta di una cultura estranea all’Italia. Se la legge sullo Ius soli prevista dalla reforma entrasse realmente in vigore, tra dieci o quindici anni l'Italia sarebbe piena di ragazzi di seconda o terza generazione con cittadinanza italiana ma cultura non italiana.
E questo potrebbe anche favorire l’adesione ad idee fondamentaliste e al terrorismo. Basti pensare che molti dei terroristi che hanno compiuto attentati in Europa sono ragazzi di seconda generazione, evidentemente rimasti legati soltanto alla propria cultura d’origine. Oggi in Italia, grazie alla legislazione attuale, è possibile espellere i soggetti pericolosi. Se questi avessero avuto la cittadinanza, non sarebbe stato possibile.
Inoltre con questa riforma che introdurrebbe anche lo ius culturae, si verrebbero a creare dei paradossi per cui i figli avrebbero la cittadinanza italiana e i genitori no, distorcendo così il diritto di famiglia. Laddove si mina l’unità familiare si creano degli insipidi culturali che disgregano la società.
La cittadinanza è cultura ed attaccamento ad un Paese, alla sua lingua, ai suoi credo, alle sue tradizioni... Non di certo un pacchetto regalo, un attributo da conferire a chiunque lo chieda per il solo fatto di esser nato su un territorio straniero.
Personalmente, risiedo in Francia da più di 14 anni, vi lavoro e pago le tasse, sono perfettamente integrata. I miei figli vi sono nati. Io e mio marito ci stiamo anche bene, ma nessuno di noi quattro è cittadino francese. E non perché la legge non ce lo consenta o perché rinneghiamo l'ospitalità che ci è data, ma solo perché noi NON siamo francesi. Non parliamo in francese tra di noi. Non abbiamo le stesse tradizioni. Non condividiamo le stesse mentalità. Non festeggiamo le stesse cose e non viviamo allo stesso modo. Ed in tutto questo non vi è nessun giudizio critico, ma una semplice constatazione: noi siamo italiani, perché figli di italiani, perché italiani da generazioni e perché le nostre radici culturali sono italiane. Perché i miei figli dovrebbero acquisire la cittadinanza francese? Il semplice fatto di esservi nati non conferisce in nulla una cultura popolare... I miei figli, quando tornano a casa, mangiano la pasta, non la soupe aux oignons, parlano tra di loro in italiano, pensano in italiano, giocano in italiano, senza mancare in nulla di rispetto alla Francia o alla città in cui vivono.
Alla luce di quanto detto finora, credo profondamente che dietro questa legge ci sia una manovra di opportunismo politico. La sinistra spinge per lo Ius soli per crearsi un bacino di voti da parte dei cosiddetti “nuovi italiani”. Niente di più di un mero voto di scambio.
Ma questo, nella mia lingua, si chiama "vendersi".
E vendersi per un pugno di voti, vendere secoli di storia e di cultura è un mero atto di vigliaccheria.
Nel mese di giugno scorso, le associazioni L’Italia sono anche io e Italiani senza cittadinanza hanno convocato una manifestazione di protesta a Torino e a Roma per chiedere che il senato voti il prima possibile il disegno di legge 2092 per la riforma della cittadinanza, già approvato dalla camera il 13 ottobre 2015 e bloccato per un anno e mezzo in commissione affari costituzionali di palazzo Madama a causa dei numerosi emendamenti presentati dalla Lega nord.
Tra uno scontro e l'altro alla Camera e al Senato, prima di un vero e proprio "eventuale "disegno di legge e dell'approvazione da parte del Parlamento della normativa che attribuirebbe agli stranieri nati in Italia la cittadinanza italiana, facciamo il punto su questa nozione così astratta che è lo "ius soli".
Secondo le norme attuali, in vigore dal 1992, un ragazzo nato in Italia da genitori stranieri può richiedere la cittadinanza entro un anno dal raggiungimento della maggiore età. Deve però essere stato residente in Italia legalmente e senza interruzioni dalla nascita.
Il nuovo disegno di legge non prevede lo ius soli, cioè il diritto ad acquisire la cittadinanza per tutti quelli che nascono sul territorio italiano. La proposta di legge introduce invece uno ius soli temperato, prevede cioè che possano ottenere la cittadinanza italiana i bambini stranieri nati in Italia che abbiano almeno un genitore in possesso del permesso di soggiorno permanente o del permesso di soggiorno europeo di lungo periodo. L’acquisizione della cittadinanza non sarà automatica, ma ci sarà bisogno di farne richiesta. Per ottenere la cittadinanza servirà una dichiarazione di volontà espressa da un genitore o da chi esercita la responsabilità genitoriale all’ufficiale dello stato civile del comune di residenza del minore, entro il compimento della maggiore età. Chi non presenta questa dichiarazione, potrà fare richiesta della cittadinanza entro due anni dal raggiungimento della maggiore età. In ogni caso, per chiunque nasce e risiede in Italia legalmente e senza interruzioni fino a 18 anni, il termine per la richiesta della cittadinanza passerà da uno a due anni dal compimento della maggiore età.
In base alla riforma, potrà ottenere la cittadinanza anche il minore straniero nato in Italia o arrivato qui prima di compiere dodici anni che abbia frequentato regolarmente la scuola per almeno cinque anni o che abbia seguito percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali idonei a ottenere una qualifica professionale. Se ha frequentato la scuola primaria, deve avere completato il ciclo con successo. La richiesta della cittadinanza deve essere presentata da un genitore, che deve avere la residenza legale in Italia, oppure dalla persona interessata entro due anni dal raggiungimento della maggiore età.
Negli altri Stati membri dell'Unione Europea, la questione della cittadinanza a bambini stranieri nati sul territorio nazionale non trova applicazioni omogenee. Le regole per ottenere la cittadinanza non sono uniformi.
Per esempio, in Germania è cittadino tedesco chi è figlio di un cittadino straniero che ha il permesso di soggiorno da almeno otto anni.
È cittadino britannico chi nasce nel Regno Unito (ius soli) anche se uno solo dei genitori è legalmente residente nel paese.
Sono francesi i figli nati in Francia da immigrati nati in Francia e i bambini nati in Francia da genitori stranieri se al compimento della maggiore età hanno avuto la residenza per almeno cinque anni.
In Spagna un bambino diventa cittadino spagnolo se almeno uno dei due genitori stranieri è nato in Spagna.
La cittadinanza irlandese si ottiene se i genitori stranieri risiedono nel paese da almeno tre anni.
Si diventa cittadini belgi, a 18 anni, se si è nati in Belgio.
Insomma, in quasi tutti questi esempi, l'attribuzione della cittadinanza non è automatica, ma vincolata da un certo numero di anni di residenza come elemento aggiuntivo alla nascita sul territorio.
Il sistema italiano previsto dalla riforma si avvicinerebbe a quello inglese, con la sola condizione di residenza legale di almeno uno dei due genitori.
In un Paese come il nostro, ma così in tutti gli Stati, mi viene spontaneo chiedermi: l’italianità è appartenenza culturale o un iter burocratico?
Ora a me sembra che con la legislazione vigente, la persona straniera ha modo di potersi integrare, di guardare alla cittadinanza come al compimento di un percorso culturale. Invece con lo Ius soli si renderebbe tutto talmente più facile e scontato da svuotare di senso l’appartenenza alla comunità nazionale. In questo Paese chi merita e chi davvero ha il desiderio di integrarsi può già farlo.
Lo Ius soli si pone in contraddizione con la meritocrazia. Se un ragazzo d’origine straniera e nato in Italia acquisisce automaticamente la cittadinanza, non si sente più in dovere di affrontare un percorso culturale per raggiungere la piena appartenenza nazionale. La sua unica cultura rimarrebbe quella tramandata dai propri genitori. E, nel caso di famiglie radicali, si tratta di una cultura estranea all’Italia. Se la legge sullo Ius soli prevista dalla reforma entrasse realmente in vigore, tra dieci o quindici anni l'Italia sarebbe piena di ragazzi di seconda o terza generazione con cittadinanza italiana ma cultura non italiana.
E questo potrebbe anche favorire l’adesione ad idee fondamentaliste e al terrorismo. Basti pensare che molti dei terroristi che hanno compiuto attentati in Europa sono ragazzi di seconda generazione, evidentemente rimasti legati soltanto alla propria cultura d’origine. Oggi in Italia, grazie alla legislazione attuale, è possibile espellere i soggetti pericolosi. Se questi avessero avuto la cittadinanza, non sarebbe stato possibile.
Inoltre con questa riforma che introdurrebbe anche lo ius culturae, si verrebbero a creare dei paradossi per cui i figli avrebbero la cittadinanza italiana e i genitori no, distorcendo così il diritto di famiglia. Laddove si mina l’unità familiare si creano degli insipidi culturali che disgregano la società.
La cittadinanza è cultura ed attaccamento ad un Paese, alla sua lingua, ai suoi credo, alle sue tradizioni... Non di certo un pacchetto regalo, un attributo da conferire a chiunque lo chieda per il solo fatto di esser nato su un territorio straniero.
Personalmente, risiedo in Francia da più di 14 anni, vi lavoro e pago le tasse, sono perfettamente integrata. I miei figli vi sono nati. Io e mio marito ci stiamo anche bene, ma nessuno di noi quattro è cittadino francese. E non perché la legge non ce lo consenta o perché rinneghiamo l'ospitalità che ci è data, ma solo perché noi NON siamo francesi. Non parliamo in francese tra di noi. Non abbiamo le stesse tradizioni. Non condividiamo le stesse mentalità. Non festeggiamo le stesse cose e non viviamo allo stesso modo. Ed in tutto questo non vi è nessun giudizio critico, ma una semplice constatazione: noi siamo italiani, perché figli di italiani, perché italiani da generazioni e perché le nostre radici culturali sono italiane. Perché i miei figli dovrebbero acquisire la cittadinanza francese? Il semplice fatto di esservi nati non conferisce in nulla una cultura popolare... I miei figli, quando tornano a casa, mangiano la pasta, non la soupe aux oignons, parlano tra di loro in italiano, pensano in italiano, giocano in italiano, senza mancare in nulla di rispetto alla Francia o alla città in cui vivono.
Alla luce di quanto detto finora, credo profondamente che dietro questa legge ci sia una manovra di opportunismo politico. La sinistra spinge per lo Ius soli per crearsi un bacino di voti da parte dei cosiddetti “nuovi italiani”. Niente di più di un mero voto di scambio.
Ma questo, nella mia lingua, si chiama "vendersi".
E vendersi per un pugno di voti, vendere secoli di storia e di cultura è un mero atto di vigliaccheria.
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