La secessione o il diritto dei popoli contro l'integrità territoriale
la questione della secessione di una parte di un territorio statale scuote molti animi. Soprattutto oggi, con quanto sta accadendo in Catalogna, nel cuore pulsante della vecchia Europa.
Dopo una serie di articoli pubblicati su questo blog in francese, la mia lingua lavorativa, ho scelto di condividere il mio punto di vista di internazionalista, anche in italiano, la mia lingua madre.
Le recenti evoluzioni dello Stato non sono mere questioni materiali di separazione e trasferimento di territori, ma fattori provenienti da un cambiamento radicale di ottica delle vita internazionale che ha un impatto sugli elementi costitutivi dello Stato, quali la popolazione o l'indipendenza sovrana.
Il rapporto tra Stato e popolazione è, essenzialmente, un rapporto di soggezione, che si materializza attraverso il legame della "nazionalità. Il fatto che una tale concezione duri nel tempo, non impedisce di affermare che il consenso popolare è divenuto un principio fondamentale di cui il diritto internazionale organizza il rispetto.
Le evoluzioni contemporanee in effetti sono tali da porsi la domanda del possibile spostamento di attenzione dal diritto di un popolo all'autodeterminazione sul diritto delle minoranze etniche. Questo ultimo aspetto sembrerebbe aver acquisito tutta l'importanza e esser divenuto l'unica applicazione concreta di un diritto all'autodeterminazione che quasi non esiste più.
Infatti, vi è una grand facilità a confondere il principio, unanimemente riconosciuto dei popoli a scegliere, con un eventuale e poco realisticamente accettabile diritto dei popoli ad effettuare una secessione, cioè a separarsi da uno Stato preesistente e a modificarne le frontiere. Con una tale azione il diritto dei popoli infrange e si scontra con un altro diritto fondamentale: l'intangibilità e l'inviolabilità delle frontiere prestabilite.
Ciò significa che, in virtù di diversi fondamenti testuali, tra i quali la Risoluzione 1514 dell'Assemblea generale dell'ONU, il diritto dei popoli all'autoproclamazione è un principio che può trovar applicazione solo in caso di decolonizzazione. Questo testo infatti esclude la cosiddetta autodeterminazione-secessione, cioè il diritto di una parte della popolazione di uno Stato indipendente di separarsi da quest'ultimo per dichiarare la propria, nuova, indipendenza.
Il principio dell'integrità territoriale, pertanto, prevale sul diritto popolare, e deve prevalere su di lui. Questo principio, consacrato da ormai molto tempo dal diritto internazionale, costituisce un limite all'applicazione dell'autodeterminazione. La risoluzione 1514 ammette et consacre un intero paragrafo (§6) a questa tematica: "ogni tentativo volto a distruggere parzialmente o totalmente l'unità nazionale e l'integrità territoriale di uno Stato è incompatibile con gli obiettivi ed i principi delle Nazioni Unite".
Questa restrizione è stata confermata dal diritto e dalla pratica delle Nazioni Unite. Il diritto dell'organizzazione mondiale reitera in effetti tale posizione in diversi testi, tra i quali la risoluzione 2625 in cui precisa che il diritto dei popoli a disporre del loro futuro non potrà essere interpretato come un'autorizzazione o un incoraggiamento a smembrare o minacciare l'integrità territoriale o l'unità politica di uno Stato sovrano ed indipendente.
Basandosi su quanto affermato finora, si può pertanto riconoscere l'autodeterminazione in ambito coloniale ma non l'autodeterminazione-secessione. Per lo meno, allo stato attuale, il diritto internazionale non lo ammette volendo far prevalere la stabilità delle frontiere.
E come dargli torto? La questione qui, e faccio riferimento a chi critica questa posizione adducendo un carattere anacronistico di questa realtà giuridica che sarebbe meramente ed esclusivamente teorica, va ben al di là dei diritti. Accettare il principio stesso della secessione, significa accettare la possibilità di modificare a proprio piacimento una realtà giuridica collaudata come quella di uno Stato, e pertanto, di spostarne le frontiere a discapito di una stabilità geopolitica acquisita con sangue e ben due guerre mondiali.
L'espressione della volontà popolare, anche se manifestata attraverso un referendum, non può esser legittimamente presa in considerazione se va nella direzione di un pregiudizio all'integrità territoriale e quindi in favore della più totale anarchia.
Ammettere il principio stesso della secessione significa ammettere che ogni Stato potrà fare quello che vorrà e all'interno di ognuno di questi Stati i popoli o le minoranze potranno anch'essi far quello che vorranno senza dover dar conto a nessuno. Insomma, aprire la porta al caos e ritornare allo stato di natura concepito da Thomas Hobbes in cui homo homini lupus.
Quindi, se vogliamo essere più pragmatici, il diritto dei popoli all'autodeterminazione si traduce in un diritto alla democrazia, al riconoscimento delle minoranze etniche e di uno statuto per i popoli autoctoni, quindi in un'autodeterminazione "interna", ma non in un diritto di separarsi da frontiere legittimamente fissate dagli Stati in accordo fra di loro, quindi in un'autodeterminazione "esterna".
La possibilità di autodeterminazione esterna sarà allora riconosciuta solo alle popolazioni realmente sottomesse alla dominazione o allo sfruttamento straniero, oltre che in caso di colonizzazione.
La secessione, in quanto separazione di una parte di territorio preesistente, non è mai stata consacrata o riconosciuta. Inoltre, anche se volessimo ammettere il fatto che un popolo si è realmente separato nell'epoca recente, il problema principale è che, certo, il diritto internazionale non potrà far altro che prendere atto della nuova situazione, ma un'arma incredibilmente pesante può essere utilizzata contro il popolo secessionista: il necessario riconoscimento sulla sfera internazionale, senza il quale il nuovo Stato non potrebbe realmente agire.
La Catalogna, pertanto, potrà proclamare la sua indipendenza, per quanto questa indipendenza non sarebbe realmente legittima, ma creando un precedente nel cuore dell'Europa, è fortemente possibile che un tale atto non verrebbe riconosciuto dagli altri Stati.
Che ne è allora di uno Stato o di uno pseudo Stato isolato e non riconosciuto dalla comunità internazionale?
Dopo una serie di articoli pubblicati su questo blog in francese, la mia lingua lavorativa, ho scelto di condividere il mio punto di vista di internazionalista, anche in italiano, la mia lingua madre.
Le recenti evoluzioni dello Stato non sono mere questioni materiali di separazione e trasferimento di territori, ma fattori provenienti da un cambiamento radicale di ottica delle vita internazionale che ha un impatto sugli elementi costitutivi dello Stato, quali la popolazione o l'indipendenza sovrana.
Il rapporto tra Stato e popolazione è, essenzialmente, un rapporto di soggezione, che si materializza attraverso il legame della "nazionalità. Il fatto che una tale concezione duri nel tempo, non impedisce di affermare che il consenso popolare è divenuto un principio fondamentale di cui il diritto internazionale organizza il rispetto.
Le evoluzioni contemporanee in effetti sono tali da porsi la domanda del possibile spostamento di attenzione dal diritto di un popolo all'autodeterminazione sul diritto delle minoranze etniche. Questo ultimo aspetto sembrerebbe aver acquisito tutta l'importanza e esser divenuto l'unica applicazione concreta di un diritto all'autodeterminazione che quasi non esiste più.
Infatti, vi è una grand facilità a confondere il principio, unanimemente riconosciuto dei popoli a scegliere, con un eventuale e poco realisticamente accettabile diritto dei popoli ad effettuare una secessione, cioè a separarsi da uno Stato preesistente e a modificarne le frontiere. Con una tale azione il diritto dei popoli infrange e si scontra con un altro diritto fondamentale: l'intangibilità e l'inviolabilità delle frontiere prestabilite.
Ciò significa che, in virtù di diversi fondamenti testuali, tra i quali la Risoluzione 1514 dell'Assemblea generale dell'ONU, il diritto dei popoli all'autoproclamazione è un principio che può trovar applicazione solo in caso di decolonizzazione. Questo testo infatti esclude la cosiddetta autodeterminazione-secessione, cioè il diritto di una parte della popolazione di uno Stato indipendente di separarsi da quest'ultimo per dichiarare la propria, nuova, indipendenza.
Il principio dell'integrità territoriale, pertanto, prevale sul diritto popolare, e deve prevalere su di lui. Questo principio, consacrato da ormai molto tempo dal diritto internazionale, costituisce un limite all'applicazione dell'autodeterminazione. La risoluzione 1514 ammette et consacre un intero paragrafo (§6) a questa tematica: "ogni tentativo volto a distruggere parzialmente o totalmente l'unità nazionale e l'integrità territoriale di uno Stato è incompatibile con gli obiettivi ed i principi delle Nazioni Unite".
Questa restrizione è stata confermata dal diritto e dalla pratica delle Nazioni Unite. Il diritto dell'organizzazione mondiale reitera in effetti tale posizione in diversi testi, tra i quali la risoluzione 2625 in cui precisa che il diritto dei popoli a disporre del loro futuro non potrà essere interpretato come un'autorizzazione o un incoraggiamento a smembrare o minacciare l'integrità territoriale o l'unità politica di uno Stato sovrano ed indipendente.
Basandosi su quanto affermato finora, si può pertanto riconoscere l'autodeterminazione in ambito coloniale ma non l'autodeterminazione-secessione. Per lo meno, allo stato attuale, il diritto internazionale non lo ammette volendo far prevalere la stabilità delle frontiere.
E come dargli torto? La questione qui, e faccio riferimento a chi critica questa posizione adducendo un carattere anacronistico di questa realtà giuridica che sarebbe meramente ed esclusivamente teorica, va ben al di là dei diritti. Accettare il principio stesso della secessione, significa accettare la possibilità di modificare a proprio piacimento una realtà giuridica collaudata come quella di uno Stato, e pertanto, di spostarne le frontiere a discapito di una stabilità geopolitica acquisita con sangue e ben due guerre mondiali.
L'espressione della volontà popolare, anche se manifestata attraverso un referendum, non può esser legittimamente presa in considerazione se va nella direzione di un pregiudizio all'integrità territoriale e quindi in favore della più totale anarchia.
Ammettere il principio stesso della secessione significa ammettere che ogni Stato potrà fare quello che vorrà e all'interno di ognuno di questi Stati i popoli o le minoranze potranno anch'essi far quello che vorranno senza dover dar conto a nessuno. Insomma, aprire la porta al caos e ritornare allo stato di natura concepito da Thomas Hobbes in cui homo homini lupus.
Quindi, se vogliamo essere più pragmatici, il diritto dei popoli all'autodeterminazione si traduce in un diritto alla democrazia, al riconoscimento delle minoranze etniche e di uno statuto per i popoli autoctoni, quindi in un'autodeterminazione "interna", ma non in un diritto di separarsi da frontiere legittimamente fissate dagli Stati in accordo fra di loro, quindi in un'autodeterminazione "esterna".
La possibilità di autodeterminazione esterna sarà allora riconosciuta solo alle popolazioni realmente sottomesse alla dominazione o allo sfruttamento straniero, oltre che in caso di colonizzazione.
La secessione, in quanto separazione di una parte di territorio preesistente, non è mai stata consacrata o riconosciuta. Inoltre, anche se volessimo ammettere il fatto che un popolo si è realmente separato nell'epoca recente, il problema principale è che, certo, il diritto internazionale non potrà far altro che prendere atto della nuova situazione, ma un'arma incredibilmente pesante può essere utilizzata contro il popolo secessionista: il necessario riconoscimento sulla sfera internazionale, senza il quale il nuovo Stato non potrebbe realmente agire.
La Catalogna, pertanto, potrà proclamare la sua indipendenza, per quanto questa indipendenza non sarebbe realmente legittima, ma creando un precedente nel cuore dell'Europa, è fortemente possibile che un tale atto non verrebbe riconosciuto dagli altri Stati.
Che ne è allora di uno Stato o di uno pseudo Stato isolato e non riconosciuto dalla comunità internazionale?
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