L'assurdo caso dell'estradizione di Cesare Battisti: l'Italia non è forse un Paese abbastanza democratica?
Cesare Battisti, classe 1954, originario di Cisterna di Latina, ex terrorista dei Pac, Proletari Armati per il Comunismo, è stato condannato all'ergastolo in via definita in Italia per quattro omicidi, compiuti tra il 1978 e il 1979.
Ritracciamo le tappe della sua vicenda.
Nel 1979, l'ex militante 'rosso' viene arrestato per banda armata. Negli anni '80, detenuto nel carcere di Frosinone, mentre è in corso l'istruttoria, riesce ad evadere e a fuggire in Francia. Per un anno vive da clandestino a Parigi dove conosce la sua futura moglie. Poi si trasferisce con la compagna in Messico dove nasce la sua prima figlia. Durante il soggiorno messicano i giudici italiani lo condannano in contumacia all'ergastolo per quattro omicidi.
Nel 1990, Battisti torna a Parigi dove, nel frattempo, sono andate a vivere la moglie e la figlia. Nella capitale francese, fa il portiere di uno stabile, ma frequenta la comunità di rifugiati italiani che li' vive grazie alla cosiddetta 'dottrina Mitterrand': l'impegno dell'allora presidente francese a dare ospitalità ai ricercati della giustizia italiana negli anni di piombo, in cambio della rinuncia alla violenza.
Intanto, Battisti termina un romanzo e si guadagna da vivere traducendo in italiano racconti di autori noir francesi.
Poco tempo dopo viene pero' arrestato a seguito di una richiesta di estradizione del governo italiano.
In aprile 1991, dopo quattro mesi di detenzione, la Chambre d'accusation di Parigi lo dichiara non estradabile: Battisti torna libero.
Nel 2002, riparte la richiesta del governo italiano per l'estradizione. In Francia il mondo degli intellettuali della 'gauche' si schiera a suo favore con numerose manifestazioni.
Nel febbraio 2004 ottiene la cittadinanza francese.
Pochi giorni dopo viene arrestato e la gauche organizza una campagna contro l'estradizione, una decisione che tradirebbe la 'dottrina Mitterrand'. L'estradizione viene concessa dalle autorita' d'Oltralpe il 30 giugno 2004. A seguito di tale provvedimento, Battisti, ad agosto, fugge e torna alla latitanza.
Nel 2007, viene arrestato in Brasile, precisamente il 18 marzo, ma il leader dei Pac si rivolge allo Stato brasiliano e chiede lo status di rifugiato politico.
Il 28 novembre 2008, il Comitato nazionale per i rifugiati del governo brasiliano, organo di prima istanza per le richieste di asilo politico, respinge la richiesta dell'ex terrorista. L'estradizione sembra piu' vicina.
Nel 2009, le sue parole riferite ai magistrati risuonano estremamente forti: "Se torno in Italia mi ammazzano" avverte Battisti, dal carcere di Papuda, Brasilia, augurandosi che il ministro della giustizia brasiliano, Tarso Genro, "che ha vissuto sulla sua pelle gli effetti della repressione politica (durante la giunta militare al potere in Brasile dal 1964 al 1984) rigetti le argomentazioni del governo italiano".
Pochi giorni dopo Genro gli concede lo status di rifugiato politico.
La concessione dello status di rifugiato politico ha creato forti dissapori tra Italia e Brasile, tanto che il governo italiano, all'indomani della decisione di Genro, ha richiamato l'ambasciatore in segno di protesta. Ma il Tribunale supremo federale (Stf) brasiliano, il 18 novembre, dichiara illegittimo lo status di rifugiato politico concesso dal governo. La pronuncia, 5 voti favorevoli e 4 contrari, è favorevole all'estradizione di Battisti in Italia, anche se lascia al presidente Luiz Inacio Lula da Silva la parola definitiva sulla sua effettiva esecuzione.
Nel 2010, il 5 marzo, il Tribunale di Rio de Janeiro condanna Battisti a due anni da scontare in regime di semiliberta' per uso di passaporto falso.
Il 16 aprile il Tribunale supremo pubblica il testo della sentenza con la quale aveva dato il via all'estradizione. La decisione finale rimane nelle mani di Lula che, nell'ultimo giorno della sua presidenza, il 31 dicembre, annuncia di non voler concedere l'estradizione sulla scia di quanto scritto dall'Avvocatura generale dello Stato che citava "clausole del trattato di estradizione in vigore tra Brasile e Italia".
Grandi critiche da parte dell'Italia.
Nel 2011, Dilma Roussef subentra alla presidenza e ribadisce quanto deciso dal suo predecessore con una lettera al capo di Stato italiano Napolitano. Il 3 febbraio i legali italiani presentano all'Alta Corte due azioni giuridiche contro il 'no' all'estradizione, ma il 12 maggio la Procura generale brasiliana conferma il 'no' e invia il parere al Tribunale Supremo.
Il 14 maggio la difesa di Battisti chiede al Tribunale la scarcerazione dell'ex brigatista.
L'8 giugno il Tribunale federale respinge la richiesta dell'Italia di estradizione di Battisti.
Il 22 giugno il Brasile concede all'ex terrorista il permesso di soggiorno nel Paese.
Nel 2015, la Giustizia federale brasiliana decide di annullare l'atto del Governo federale che consentiva la permanenza nel Paese sudamericano di Cesare Battisti. Il legale dell'italiano preannuncia ricorso.
Infine, nel 2017, a fine settembre l'Italia torna alla carica e coglie l'occasione del cambio alla presidenza del Brasile per chiedere la revisione della decisione di Lula. Il capo di Stato brasiliano, Michel Temer, si era espresso a favore dell'estradizione e Battisti presenta ricorso al Tribunale Supremo nell'eventualità di una decisione sfavorevole per lui. L'ex terrorista tenta di scappare in Bolivia, ma viene arrestato alla frontiera.
Pochi giorni fa, Luix Fux, giudice del Tribunale Supremo federale, ha bloccato una "eventuale estradizione" di Cesare Battisti in Italia prima della decisione definitiva dell'Alta Corte brasiliana, prevista per il prossimo 24 ottobre. Il giudice ha deciso quindi di sospendere temporaneamente la richiesta di estradizione avanzata dall’Italia. Ha accolto la domanda della difesa per l’habeas corpus - una procedura prevista nel codice portoghese e brasiliano che equivale ad una garanzia sulla libertà dell’imputato ribadita da una sentenza - e ha ordinato di trasmettere il fascicolo al primo Comitato del TSF. Di questo fanno parte cinque consiglieri: lo stesso Fux, Rosa Weber, Marco Aurélio Mello, Gilmar Mendes e Luis Roberto Barroso. Quest’ultimo, tuttavia, dovrebbe astenersi. In passato è stato uno degli avvocati della difesa di Battisti. La sua presenza sarebbe in conflitto. La decisione ha forti implicazioni politiche, non basta il parere di un giudice monocratico, c’è bisogno di una sentenza collettiva. La data dell’udienza è fissata per il 24 ottobre.
Si ripete così lo scenario del 2009, quando il TSF si dovette pronunciare sulla prima richiesta di estradizione, accogliendola con cinque voti contro quattro. La sentenza fu poi annullata dall'allora presidente Lula proprio nel suo ultimo giorno del secondo mandato a Planalto, il 31 dicembre del 2010. Nel giugno del 2011 ci fu un secondo pronunciamento del Supremo organo che approvò con 6 voti contro 3 la scelta del Capo dello Stato. Su questa, Cesare Battisti ha sempre fatto perno. Nelle diverse interviste che ha rilasciato nei giorni scorsi e anche ieri ai media brasiliani, ha ripetuto cronologicamente la sua vicenda giuridica qui in Brasile. "Estradarmi sarebbe una violazione del diritto acquisito", ha concluso.
L’unica differenza, rispetto ai due passati pronunciamenti, riguarda appunto l’oggetto del ricorso: in questo caso la concessione di un verdetto che si tramuti in una garanzia di libertà. La domanda di estradizione seguirebbe il suo corso. Ma la sentenza del giudice Flix rallenta la procedura e affida al collegio dei 5 i consiglieri del TSF, la decisione finale. Anche in questo caso il verdetto non è scontato. Negli ultimi sei anni è molto cambiata la composizione del Supremo. Solo quattro degli 11 consiglieri-ministri sono gli stessi. Due, Gilmar Mendes e Ricardo Lewandowski, erano favorevoli all’estradizione; gli altri due, Carmen Lucia, presidente, e Marco Aurélio Mello si espressero con voto contrario.
Il presidente Michel Temer, che si è detto favorevole a restituire Battisti all'Italia, non ha ancora apposto la sua firma sull'estradizione. Su suggerimento dei suoi consiglieri giuridici ha deciso di attendere un pronunciamento del Supremo e solo dopo prendere una decisione.
Con una raffica di interviste, appelli e dichiarazioni, scandite da continui colpi di scena, si consuma da giorni la battaglia politico-diplomatica su un caso che si trascina da almeno 15 anni nel gigante sudamericano. Scendono in campo i pezzi grossi della maggioranza di governo, le figure di spicco di quella coalizione che reggono il potere del presidente Michel Temer. Parla il ministro della Giustizia e della Pubblica Sicurezza, Torquato Jardim, già consigliere del Tribunale Superiore Federale (TSF), fedelissimo dell'inquilino di Planalto e tra i più ascoltati consiglieri in materia giuridica. "Cesare Battisti", spiega in un'intervista alla Bbc Brasil, "ha rotto il rapporto di fiducia con il paese che lo sta ospitando. Ha cercato di uscire da Brasile senza una ragione precisa dicendo che stava andando a comprare materiale da pesca. In questo modo ha rotto quel rapporto di fiducia che si instaura sempre tra un ospite particolare come l'italiano e il paese che lo accoglie. Ha commesso un illecito. Stava andando in Bolivia con una somma di denaro superiore a quella consentita e senza un valido motivo apparente".
João Doria, potente sindaco di San Paolo, figura emergente del PSDB, lo stesso partito di Temer e probabile prossimo candidato alla presidenza nelle elezioni dell'ottobre 2018, coglie l'occasione di una visita a Milano per esprimere una posizione netta sulla tumultuosa vicenda legata all'ex militante dei Pac. "Adesso", chiarisce, "abbiamo un governo veramente democratico in Brasile. Non possiamo dare protezione ad un criminale. L'estradizione deve essere concessa e applicata".
Cesare Battisti replica colpo su colpo. Da tre giorni concede brevi interviste. Solo a quotidiani e tv brasiliane. Lo fa con il contagocce, seguendo una strategia mediatica ben precisa. Parla al paese che lo ospita, quello che deve decidere il suo futuro. Due giorni fa aveva dichiarato che la sua eventuale estradizione equivaleva "ad una condanna a morte". Oggi, dalla pagine di Folha de São Paolo, il quotidiano della capitale finanziaria ed economica del Brasile, si è scagliato contro l'Italia, definendola un "paese così arrogante". Il nostro connazionale, latitante da 36 anni, condannato in via definitiva a due ergastoli per due omicidi e altri due per concorso in omicidio, dice che "in Italia sono convinti che sia un compito facile portarmi via da qui. Nei miei confronti c'è un chiaro atteggiamento di orgoglio e vanità".
Per Battisti, la nuova richiesta di estradizione e la stessa operazione di polizia che aveva portato al suo fermo e successivo arresto, poi revocato da una seconda sentenza, "esiste un chiaro piano organizzato dalla nostra ambasciata su indicazione del governo italiano". Si appella a Michel Temer e gli chiede di valutare bene prima di dare seguito alla domanda di estradizione. "Ha l'occasione, presidente",
afferma l'ex militante della galassia armata, "per compiere un grande atto di giustizia e umanità. Vorrei che prendesse coscienza profonda della situazione. Ha tutti gli strumenti giuridici e politici per fare un atto di umanità e lasciarmi qui in Brasile".
ESTRADIZIONE
La clausola di salvaguardia comune vieta l’estradizione verso paesi che non rispettino i diritti fondamentali della persona, o che la espongano al rischio di tortura, trattamenti crudeli, disumani o degradanti o a persecuzione arbitraria o discriminazione. Essa costitusce il principio ispiratore della normativa che regola l'estradizione in diritto internazionale, ma rischia di essere svilita nella sua applicazione quotidiana.
In Italia, l'istituto dell'estradizione presenta una duplicità di connessioni con il reato politico in quanto può alternativamente costituire il presupposto, per l'istanza di estradizione con riferimento a un cittadino italiano o straniero nei confronti di uno Stato estero ovvero, una ragione ostativa all'accoglimento di una domanda di estradizione avanzata allo Stato italiano da parte di uno Stato estero.
La commissione di un reato politico costituisce eccezione al principio della territorialità del diritto penale; il principio sulla base del quale, in via generale, l'ordinamento penale italiano trova applicazione solo con riferimento ai fatti di reato che siano, in tutto o in parte, commessi entro il territorio dello Stato (si considerano commessi nel territorio dello Stato i fatti di reato con riferimento ai quali l'azione l'omissione o l'evento si siano ivi verificati).
Il cittadino o lo straniero che commetta in territorio estero un delitto che offenda un interesse politico dello Stato ovvero un diritto politico del cittadino, ovvero un delitto comune determinato, in tutto o in parte, da motivi politici sia punito secondo la legge italiana.
Si profilano pertanto due diverse fattispecie di delitto politico: la prima, oggettiva, che presuppone la natura politica dell'interesse offeso dal reato, sia che esso possa riferirsi direttamente allo Stato, sia, invece, che esso possa essere riferito ai cittadini dello Stato (ad esempio, l'interesse alla sovranità nazionale, quello all'indipendenza della repubblica, i diritti elettorali dei cittadini ecc ecc); la seconda, soggettiva, si radica sul movente della condotta delittuosa; la dottrina ha, peraltro, evidenziato come occorra distinguere tra il vero e proprio movente e il pretesto politico escludendo, in particolare, che possa individuarsi un delitto politico in fatti commessi per finalità di lucro o egoistiche.
L'estradizione può essere attiva o passiva e consiste nella richiesta, formulata da uno Stato, di consegnare una persona, presente nel territorio di altro Stato, affinchè tale persona sia sottoposta a processo o a pena secondo la legge dello Stato richiedente.
Per quanto riguarda il reato politico, è necessario ricordare e sottolineare che Cesare Battisti è stato condannato per quattro omicidi, due dei quali commessi nel corso di una rapina a mano armata, di gente comune (un gioielliere, un macellaio, un agente di polizia, una guardia giurata). La sua condanna, pronunciata in via definitiva dopo numerosi processi con diversi collegi giudicanti, riguardava, quindi, reati comuni – come riconosciuto anche nel parere fornito dall’Avvocatura dello Stato al Presidente Lula nel quale si ammette che “Battisti è stato condannato per crimini di matrice
comune” - commessi in uno Stato democratico e non sotto un regime autoritario, nei confronti di comuni cittadini. E’ da ritenere, pertanto, che la clausola di rifiuto dell’estradizione in presenza di un delitto considerato dalla parte richiesta di natura politica – clausola che trova riscontro nelle disposizioni costituzionali italiane in tema di divieto di estradizione dello straniero e del cittadino italiano per reati politici non possa trovare applicazione, posto che Battisti con evidenza non è stato condannato per reati aventi natura riconducibile all’articolo 8 c.p. italiano che si occupa, peraltro, dei soli delitti politici commessi all’estero e che, anche tenendo conto dell’ordinamento dello Stato richiesto, i crimini di sangue di comuni cittadini non hanno certo matrice politica.
Per quanto riguarda l'eccezione idonea a fondare il rifiuto all’estradizione, lo Stato brasiliano ha sostenuto che Battisti avrebbe potuto subire conseguenze negative dall’arrivo in Italia, di fatto ipotizzando il rischio di persecuzione o di atti discriminatori e mettendo così in discussione il rispetto dei diritti umani in Italia. Anche in questo caso manca una base fattuale idonea a giustificare il rifiuto all’estradizione. Basti considerare, a tale proposito, che l’Italia è parte contraente di numerosi trattati internazionali in materia di diritti umani come, per citarne solo alcuni, il Patto sui diritti civili e politici del 16 dicembre 1966, la Convenzione Onu per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale del 21 dicembre 1965, la Convenzione di New York del 10 dicembre 1984 contro la tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti, la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti disumani o degradanti del 26 novembre 1987, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950. I suddetti trattati, inoltre, come è noto, prevedono diversi meccanismi di controllo affidati a organi di garanzia internazionali.
Insomma, quest'ultima eccezione sembra essere davvero assurda, soprattutto se proveniente da un Paese, "giovane" in materia di democrazia e che molto avrebbe da imparare dall'Italia...
Ritracciamo le tappe della sua vicenda.
Nel 1979, l'ex militante 'rosso' viene arrestato per banda armata. Negli anni '80, detenuto nel carcere di Frosinone, mentre è in corso l'istruttoria, riesce ad evadere e a fuggire in Francia. Per un anno vive da clandestino a Parigi dove conosce la sua futura moglie. Poi si trasferisce con la compagna in Messico dove nasce la sua prima figlia. Durante il soggiorno messicano i giudici italiani lo condannano in contumacia all'ergastolo per quattro omicidi.
Nel 1990, Battisti torna a Parigi dove, nel frattempo, sono andate a vivere la moglie e la figlia. Nella capitale francese, fa il portiere di uno stabile, ma frequenta la comunità di rifugiati italiani che li' vive grazie alla cosiddetta 'dottrina Mitterrand': l'impegno dell'allora presidente francese a dare ospitalità ai ricercati della giustizia italiana negli anni di piombo, in cambio della rinuncia alla violenza.
Intanto, Battisti termina un romanzo e si guadagna da vivere traducendo in italiano racconti di autori noir francesi.
Poco tempo dopo viene pero' arrestato a seguito di una richiesta di estradizione del governo italiano.
In aprile 1991, dopo quattro mesi di detenzione, la Chambre d'accusation di Parigi lo dichiara non estradabile: Battisti torna libero.
Nel 2002, riparte la richiesta del governo italiano per l'estradizione. In Francia il mondo degli intellettuali della 'gauche' si schiera a suo favore con numerose manifestazioni.
Nel febbraio 2004 ottiene la cittadinanza francese.
Pochi giorni dopo viene arrestato e la gauche organizza una campagna contro l'estradizione, una decisione che tradirebbe la 'dottrina Mitterrand'. L'estradizione viene concessa dalle autorita' d'Oltralpe il 30 giugno 2004. A seguito di tale provvedimento, Battisti, ad agosto, fugge e torna alla latitanza.
Nel 2007, viene arrestato in Brasile, precisamente il 18 marzo, ma il leader dei Pac si rivolge allo Stato brasiliano e chiede lo status di rifugiato politico.
Il 28 novembre 2008, il Comitato nazionale per i rifugiati del governo brasiliano, organo di prima istanza per le richieste di asilo politico, respinge la richiesta dell'ex terrorista. L'estradizione sembra piu' vicina.
Nel 2009, le sue parole riferite ai magistrati risuonano estremamente forti: "Se torno in Italia mi ammazzano" avverte Battisti, dal carcere di Papuda, Brasilia, augurandosi che il ministro della giustizia brasiliano, Tarso Genro, "che ha vissuto sulla sua pelle gli effetti della repressione politica (durante la giunta militare al potere in Brasile dal 1964 al 1984) rigetti le argomentazioni del governo italiano".
Pochi giorni dopo Genro gli concede lo status di rifugiato politico.
La concessione dello status di rifugiato politico ha creato forti dissapori tra Italia e Brasile, tanto che il governo italiano, all'indomani della decisione di Genro, ha richiamato l'ambasciatore in segno di protesta. Ma il Tribunale supremo federale (Stf) brasiliano, il 18 novembre, dichiara illegittimo lo status di rifugiato politico concesso dal governo. La pronuncia, 5 voti favorevoli e 4 contrari, è favorevole all'estradizione di Battisti in Italia, anche se lascia al presidente Luiz Inacio Lula da Silva la parola definitiva sulla sua effettiva esecuzione.
Nel 2010, il 5 marzo, il Tribunale di Rio de Janeiro condanna Battisti a due anni da scontare in regime di semiliberta' per uso di passaporto falso.
Il 16 aprile il Tribunale supremo pubblica il testo della sentenza con la quale aveva dato il via all'estradizione. La decisione finale rimane nelle mani di Lula che, nell'ultimo giorno della sua presidenza, il 31 dicembre, annuncia di non voler concedere l'estradizione sulla scia di quanto scritto dall'Avvocatura generale dello Stato che citava "clausole del trattato di estradizione in vigore tra Brasile e Italia".
Grandi critiche da parte dell'Italia.
Nel 2011, Dilma Roussef subentra alla presidenza e ribadisce quanto deciso dal suo predecessore con una lettera al capo di Stato italiano Napolitano. Il 3 febbraio i legali italiani presentano all'Alta Corte due azioni giuridiche contro il 'no' all'estradizione, ma il 12 maggio la Procura generale brasiliana conferma il 'no' e invia il parere al Tribunale Supremo.
Il 14 maggio la difesa di Battisti chiede al Tribunale la scarcerazione dell'ex brigatista.
L'8 giugno il Tribunale federale respinge la richiesta dell'Italia di estradizione di Battisti.
Il 22 giugno il Brasile concede all'ex terrorista il permesso di soggiorno nel Paese.
Nel 2015, la Giustizia federale brasiliana decide di annullare l'atto del Governo federale che consentiva la permanenza nel Paese sudamericano di Cesare Battisti. Il legale dell'italiano preannuncia ricorso.
Infine, nel 2017, a fine settembre l'Italia torna alla carica e coglie l'occasione del cambio alla presidenza del Brasile per chiedere la revisione della decisione di Lula. Il capo di Stato brasiliano, Michel Temer, si era espresso a favore dell'estradizione e Battisti presenta ricorso al Tribunale Supremo nell'eventualità di una decisione sfavorevole per lui. L'ex terrorista tenta di scappare in Bolivia, ma viene arrestato alla frontiera.
Pochi giorni fa, Luix Fux, giudice del Tribunale Supremo federale, ha bloccato una "eventuale estradizione" di Cesare Battisti in Italia prima della decisione definitiva dell'Alta Corte brasiliana, prevista per il prossimo 24 ottobre. Il giudice ha deciso quindi di sospendere temporaneamente la richiesta di estradizione avanzata dall’Italia. Ha accolto la domanda della difesa per l’habeas corpus - una procedura prevista nel codice portoghese e brasiliano che equivale ad una garanzia sulla libertà dell’imputato ribadita da una sentenza - e ha ordinato di trasmettere il fascicolo al primo Comitato del TSF. Di questo fanno parte cinque consiglieri: lo stesso Fux, Rosa Weber, Marco Aurélio Mello, Gilmar Mendes e Luis Roberto Barroso. Quest’ultimo, tuttavia, dovrebbe astenersi. In passato è stato uno degli avvocati della difesa di Battisti. La sua presenza sarebbe in conflitto. La decisione ha forti implicazioni politiche, non basta il parere di un giudice monocratico, c’è bisogno di una sentenza collettiva. La data dell’udienza è fissata per il 24 ottobre.
Si ripete così lo scenario del 2009, quando il TSF si dovette pronunciare sulla prima richiesta di estradizione, accogliendola con cinque voti contro quattro. La sentenza fu poi annullata dall'allora presidente Lula proprio nel suo ultimo giorno del secondo mandato a Planalto, il 31 dicembre del 2010. Nel giugno del 2011 ci fu un secondo pronunciamento del Supremo organo che approvò con 6 voti contro 3 la scelta del Capo dello Stato. Su questa, Cesare Battisti ha sempre fatto perno. Nelle diverse interviste che ha rilasciato nei giorni scorsi e anche ieri ai media brasiliani, ha ripetuto cronologicamente la sua vicenda giuridica qui in Brasile. "Estradarmi sarebbe una violazione del diritto acquisito", ha concluso.
L’unica differenza, rispetto ai due passati pronunciamenti, riguarda appunto l’oggetto del ricorso: in questo caso la concessione di un verdetto che si tramuti in una garanzia di libertà. La domanda di estradizione seguirebbe il suo corso. Ma la sentenza del giudice Flix rallenta la procedura e affida al collegio dei 5 i consiglieri del TSF, la decisione finale. Anche in questo caso il verdetto non è scontato. Negli ultimi sei anni è molto cambiata la composizione del Supremo. Solo quattro degli 11 consiglieri-ministri sono gli stessi. Due, Gilmar Mendes e Ricardo Lewandowski, erano favorevoli all’estradizione; gli altri due, Carmen Lucia, presidente, e Marco Aurélio Mello si espressero con voto contrario.
Il presidente Michel Temer, che si è detto favorevole a restituire Battisti all'Italia, non ha ancora apposto la sua firma sull'estradizione. Su suggerimento dei suoi consiglieri giuridici ha deciso di attendere un pronunciamento del Supremo e solo dopo prendere una decisione.
Con una raffica di interviste, appelli e dichiarazioni, scandite da continui colpi di scena, si consuma da giorni la battaglia politico-diplomatica su un caso che si trascina da almeno 15 anni nel gigante sudamericano. Scendono in campo i pezzi grossi della maggioranza di governo, le figure di spicco di quella coalizione che reggono il potere del presidente Michel Temer. Parla il ministro della Giustizia e della Pubblica Sicurezza, Torquato Jardim, già consigliere del Tribunale Superiore Federale (TSF), fedelissimo dell'inquilino di Planalto e tra i più ascoltati consiglieri in materia giuridica. "Cesare Battisti", spiega in un'intervista alla Bbc Brasil, "ha rotto il rapporto di fiducia con il paese che lo sta ospitando. Ha cercato di uscire da Brasile senza una ragione precisa dicendo che stava andando a comprare materiale da pesca. In questo modo ha rotto quel rapporto di fiducia che si instaura sempre tra un ospite particolare come l'italiano e il paese che lo accoglie. Ha commesso un illecito. Stava andando in Bolivia con una somma di denaro superiore a quella consentita e senza un valido motivo apparente".
João Doria, potente sindaco di San Paolo, figura emergente del PSDB, lo stesso partito di Temer e probabile prossimo candidato alla presidenza nelle elezioni dell'ottobre 2018, coglie l'occasione di una visita a Milano per esprimere una posizione netta sulla tumultuosa vicenda legata all'ex militante dei Pac. "Adesso", chiarisce, "abbiamo un governo veramente democratico in Brasile. Non possiamo dare protezione ad un criminale. L'estradizione deve essere concessa e applicata".
Cesare Battisti replica colpo su colpo. Da tre giorni concede brevi interviste. Solo a quotidiani e tv brasiliane. Lo fa con il contagocce, seguendo una strategia mediatica ben precisa. Parla al paese che lo ospita, quello che deve decidere il suo futuro. Due giorni fa aveva dichiarato che la sua eventuale estradizione equivaleva "ad una condanna a morte". Oggi, dalla pagine di Folha de São Paolo, il quotidiano della capitale finanziaria ed economica del Brasile, si è scagliato contro l'Italia, definendola un "paese così arrogante". Il nostro connazionale, latitante da 36 anni, condannato in via definitiva a due ergastoli per due omicidi e altri due per concorso in omicidio, dice che "in Italia sono convinti che sia un compito facile portarmi via da qui. Nei miei confronti c'è un chiaro atteggiamento di orgoglio e vanità".
Per Battisti, la nuova richiesta di estradizione e la stessa operazione di polizia che aveva portato al suo fermo e successivo arresto, poi revocato da una seconda sentenza, "esiste un chiaro piano organizzato dalla nostra ambasciata su indicazione del governo italiano". Si appella a Michel Temer e gli chiede di valutare bene prima di dare seguito alla domanda di estradizione. "Ha l'occasione, presidente",
afferma l'ex militante della galassia armata, "per compiere un grande atto di giustizia e umanità. Vorrei che prendesse coscienza profonda della situazione. Ha tutti gli strumenti giuridici e politici per fare un atto di umanità e lasciarmi qui in Brasile".
ESTRADIZIONE
La clausola di salvaguardia comune vieta l’estradizione verso paesi che non rispettino i diritti fondamentali della persona, o che la espongano al rischio di tortura, trattamenti crudeli, disumani o degradanti o a persecuzione arbitraria o discriminazione. Essa costitusce il principio ispiratore della normativa che regola l'estradizione in diritto internazionale, ma rischia di essere svilita nella sua applicazione quotidiana.
In Italia, l'istituto dell'estradizione presenta una duplicità di connessioni con il reato politico in quanto può alternativamente costituire il presupposto, per l'istanza di estradizione con riferimento a un cittadino italiano o straniero nei confronti di uno Stato estero ovvero, una ragione ostativa all'accoglimento di una domanda di estradizione avanzata allo Stato italiano da parte di uno Stato estero.
La commissione di un reato politico costituisce eccezione al principio della territorialità del diritto penale; il principio sulla base del quale, in via generale, l'ordinamento penale italiano trova applicazione solo con riferimento ai fatti di reato che siano, in tutto o in parte, commessi entro il territorio dello Stato (si considerano commessi nel territorio dello Stato i fatti di reato con riferimento ai quali l'azione l'omissione o l'evento si siano ivi verificati).
Il cittadino o lo straniero che commetta in territorio estero un delitto che offenda un interesse politico dello Stato ovvero un diritto politico del cittadino, ovvero un delitto comune determinato, in tutto o in parte, da motivi politici sia punito secondo la legge italiana.
Si profilano pertanto due diverse fattispecie di delitto politico: la prima, oggettiva, che presuppone la natura politica dell'interesse offeso dal reato, sia che esso possa riferirsi direttamente allo Stato, sia, invece, che esso possa essere riferito ai cittadini dello Stato (ad esempio, l'interesse alla sovranità nazionale, quello all'indipendenza della repubblica, i diritti elettorali dei cittadini ecc ecc); la seconda, soggettiva, si radica sul movente della condotta delittuosa; la dottrina ha, peraltro, evidenziato come occorra distinguere tra il vero e proprio movente e il pretesto politico escludendo, in particolare, che possa individuarsi un delitto politico in fatti commessi per finalità di lucro o egoistiche.
L'estradizione può essere attiva o passiva e consiste nella richiesta, formulata da uno Stato, di consegnare una persona, presente nel territorio di altro Stato, affinchè tale persona sia sottoposta a processo o a pena secondo la legge dello Stato richiedente.
Per quanto riguarda il reato politico, è necessario ricordare e sottolineare che Cesare Battisti è stato condannato per quattro omicidi, due dei quali commessi nel corso di una rapina a mano armata, di gente comune (un gioielliere, un macellaio, un agente di polizia, una guardia giurata). La sua condanna, pronunciata in via definitiva dopo numerosi processi con diversi collegi giudicanti, riguardava, quindi, reati comuni – come riconosciuto anche nel parere fornito dall’Avvocatura dello Stato al Presidente Lula nel quale si ammette che “Battisti è stato condannato per crimini di matrice
comune” - commessi in uno Stato democratico e non sotto un regime autoritario, nei confronti di comuni cittadini. E’ da ritenere, pertanto, che la clausola di rifiuto dell’estradizione in presenza di un delitto considerato dalla parte richiesta di natura politica – clausola che trova riscontro nelle disposizioni costituzionali italiane in tema di divieto di estradizione dello straniero e del cittadino italiano per reati politici non possa trovare applicazione, posto che Battisti con evidenza non è stato condannato per reati aventi natura riconducibile all’articolo 8 c.p. italiano che si occupa, peraltro, dei soli delitti politici commessi all’estero e che, anche tenendo conto dell’ordinamento dello Stato richiesto, i crimini di sangue di comuni cittadini non hanno certo matrice politica.
Per quanto riguarda l'eccezione idonea a fondare il rifiuto all’estradizione, lo Stato brasiliano ha sostenuto che Battisti avrebbe potuto subire conseguenze negative dall’arrivo in Italia, di fatto ipotizzando il rischio di persecuzione o di atti discriminatori e mettendo così in discussione il rispetto dei diritti umani in Italia. Anche in questo caso manca una base fattuale idonea a giustificare il rifiuto all’estradizione. Basti considerare, a tale proposito, che l’Italia è parte contraente di numerosi trattati internazionali in materia di diritti umani come, per citarne solo alcuni, il Patto sui diritti civili e politici del 16 dicembre 1966, la Convenzione Onu per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale del 21 dicembre 1965, la Convenzione di New York del 10 dicembre 1984 contro la tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti, la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti disumani o degradanti del 26 novembre 1987, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950. I suddetti trattati, inoltre, come è noto, prevedono diversi meccanismi di controllo affidati a organi di garanzia internazionali.
Insomma, quest'ultima eccezione sembra essere davvero assurda, soprattutto se proveniente da un Paese, "giovane" in materia di democrazia e che molto avrebbe da imparare dall'Italia...
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