L'indipendenza sospesa o la Spagna confusa

Martedì 10 ottobre, il presidente catalano Puigdemont, in un discorso molto atteso di fronte al Parlamento catalano, ha dichiarato l’indipendenza della Catalogna, per poi sospenderne  poco dopo gli effetti per iniziare dei negoziati con il governo spagnolo di Madrid.



Con questa decisione Puigdemont ha cercato di tenere insieme la variegata coalizione politica che lo sostiene – accomunata dall’indipendentismo – e allo stesso tempo riconoscere il risultato del referendum senza però tagliare bruscamente i ponti con la Spagna.
Puigdemont ha riconosciuto i risultati del referendum sull’indipendenza catalana dell’1 ottobre, considerato illegale dalla magistratura e dal governo spagnoli, e ha annunciato di voler assumere «il mandato che il popolo della Catalogna diventi uno stato indipendente sotto forma di Repubblica». Dopo la seduta parlamentare, i deputati della coalizione di governo e i loro alleati hanno firmato un testo della dichiarazione d’indipendenza: il documento firmato però non verrà pubblicato nel registro ufficiale del governo catalano e quindi non avrà effetti legali, almeno per ora.

Qualche ora dopo l'annuncio, la confusione sul reale significato della dichiarazione di indipendenza e sui suoi effetti ha regnato sovrana. Prima, durante e dopo la seduta del Parlamento, inoltre, sono emerse le vere divisioni del fronte indipendentista che non hanno aiutato a capire cosa stesse succedendo.
Ma la dichiarazione d’indipendenza c'è stata o no?
Sì, c’è stata una dichiarazione di indipendenza, che però almeno per ora non avrà effetti legali. In pratica il governo guidato dal presidente catalano Puigdemont ha deciso di optare per quella che i giornali spagnoli nei giorni scorsi avevano chiamato “declaración en diferito”, traducibile come “dichiarazione differita”, cioè una dichiarazione d’indipendenza la cui applicazione è rimandata ad un secondo momento, in futuro, anche se non si sa a quando esattamente. Nel passaggio più importante della sua dichiarazione, Puigdemont ha affirmato:
«Arrivati a questo momento storico, come presidente della Generalitat [il governo catalano], assumo, nel presentare i risultati del referendum di fronte a tutti voi e ai nostri cittadini, il mandato per far sì che il popolo della Catalogna diventi uno stato indipendente sotto forma di Repubblica. Questo è quello che facciamo oggi con la massima solennità, per responsabilità e rispetto. E con la stessa solennità, il governo e io stesso proponiamo che il Parlamento sospenda gli effetti della dichiarazione d’indipendenza di modo che nelle prossime settimane possa iniziare un dialogo senza il quale non è possibile una soluzione condivisa.»
Quel che è certo è che dal 10 ottobre, il governo catalano consideri la dichiarazione come una vera dichiarazione d’indipendenza. Dopo la seduta parlamentare, i deputati di Junts pel Sí (la coalizione indipendentista al governo) e della CUP (Candidatura di Unità Popolare, partito indipendentista di estrema sinistra che appoggia il governo Puigdemont) hanno firmato un testo, privo di valore legale, nel quale si proclama la nascita della Repubblica catalana:
«Al popolo della Catalogna e a tutti i popoli del mondo, la giustizia e i diritti umani individuali e collettivi intrinseci, fondamentali e irrinunciabili che danno senso alla legittimità storica e alla tradizione giuridica e istituzionale della Catalogna sono la base della costituzione della Repubblica catalana.»
Dopo che la parte di deputati sostenitori del governo ha cantato l’inno catalano ed ha proclamato la nascita della nuova Repubblica di Catalogna, si è dato inizio ad una cerimonia ufficiale senza un vero e proprio atto ufficiale.
Tuttavia, è evidente che vi siano serie divisioni nel fronte indipendentista. Sono infatti emersi pubblicamente gli screzi tra Junts pel Sì e la CUP. Junts pel Sí è una coalizione nata alle ultime elezioni regionali, nel 2015, e formata da partiti molto diversi tra loro: per esempio vi è PDeCAT, Partito democratico europeo catalano, di destra, a cui appartiene anche il presidente Puigdemont. La CUP è invece un partito di estrema sinistra, indipendentista e marxista, che c’entra poco con PDeCAT se non avere l’indipendenza come suo primo e fondamentale obiettivo.
Martedì, prima dell’inizio della seduta parlamentare fissata per le 18, Puigdemont si è scontrato con la CUP, la quale riteneva che il discorso che avrebbe letto il presidente catalano fosse troppo “morbido”: la CUP si aspettava una dichiarazione d’indipendenza con effetti immediati. L’inizio della seduta è stato così rimandato di un’ora. Le divergenze si sono viste anche dopo, durante il discorso di Puigdemont, quando i deputati della CUP sono stati gli unici tra quelli che appoggiano il governo a non applaudire. Inoltre Anna Gabriel, leader della CUP, ha iniziato il suo intervento dicendo: «Oggi avremmo dovuto proclamare una Repubblica catalana. Forse abbiamo perso un’occasione per farlo».

Dopo la seduta parlamentare, la cerimonia della firma della dichiarazione d’indipendenza della Catalogna è avvenuta fuori dall’emiciclo affinché non fosse considerata un “atto legale” ma solo un atto politico. Infatti, in caso contrario, il Tribunale costituzionale spagnolo avrebbe avuto molti margini per intervenire e dichiarare anticostituzionale tutto il processo.

La CUP ha annunciato di aver firmato un testo “non sospeso”, ovvero una dichiarazione che avrebbe avuto effetti legali immediati, se fosse stata firmata in un contesto ufficiale.

Quindi, come sottolineato da El País‏, i documenti firmati martedì sono due: uno di sospensione della dichiarazione di indipendenza, senza la CUP, e uno di dichiarazione dell’indipendenza, con la CUP. Entrambi i documenti sono senza validità legale, proprio per evitare l’intervento della magistratura spagnola. Sembra quindi che la CUP abbia considerato accettabile solo il secondo documento.
Al termine della cerimonia informale di proclamazione della nuova Repubblica catalana, infine, il portavoce della CUP, Quim Arrifat, ha detto che i deputati del suo partito non parteciperanno più ai lavori parlamentari finché non vedranno «veri passi in avanti» verso una dichiarazione di indipendenza che abbia effetti giuridici. Arrifat ha chiesto che Puigdemont stabilisca delle scadenze nel processo che dovrebbe portare all’effettiva indipendenza: lo stesso hanno fatto alcuni esponenti dell’Assemblea nazionale catalana (ANC) e di Ómnium, due organizzazioni indipendentiste molto forti e influenti in tutta la Catalogna.
Se la CUP farà quello che ha detto, e cioè smettere di partecipare alle attività del Parlamento catalano, le conseguenze per il governo potrebbero essere pesanti: senza i voti della CUP, infatti, il governo di Puigdemont non avrebbe più la maggioranza parlamentare.

Ad oggi non si sa  se questa sia una spaccatura irreversibile all’interno del fronte indipendentista o se la CUP abbia preso una posizione così netta solo per rassicurare il proprio elettorato, deluso dall’incertezza provocata dal discorso di Puigdemont: ci vorrà probabilmente ancora qualche giorno, o qualche settimana per vedere più chiaro, quando le intenzioni del governo catalano saranno espresse più esplicitamente.
Nel frattempo, Non tutti i partiti politici spagnoli sono d’accordo su quanto avvenuto martedì al Parlamento catalano: per alcuni Puigdemont non ha fatto alcuna dichiarazione d’indipendenza, per altri invece l’ha fatta.
Nella prima categoria rientra Podemos, che negli ultimi giorni aveva cercato di riempire uno spazio politico che si era creato con la crisi tra governo catalano e governo spagnolo, presentandosi come il partito del dialogo. Pablo Iglesias, leader di Podemos, aveva cercato di spingere Puigdemont e Mariano Rajoy, primo ministro spagnolo, a incontrarsi e cominciare a parlare, senza però ottenere alcun risultato. Aveva inoltre scritto su Twitter: «Puigdemont non ha dichiarato l’indipendenza. Chiediamo a Rajoy che accetti il dialogo, che inizi un percorso politico e che ascolti l’Europa». Per ora la strategia di Podemos non sembra funzionare: le due parti sono troppo distanti e lo stesso governo Rajoy ha mostrato di voler mantenere una posizione dura e ferma verso i leader catalani.

Difficoltà si riscontrano anche dal lato socialista, il cui partito è altrettanto diviso. Per esempio dopo il discorso di Puigdemont, Núria Martínez, vice-segretaria del PSC (Partito socialista della Catalogna), ha scritto su Twitter che la decisione del presidente di sospendere gli effetti della dichiarazione d’indipendenza era stato un «gesto di responsabilità» e che era arrivato il momento del dialogo. Tuttavia la posizione del PSOE nazionale sembra essere molto diversa. Dopo aver inizialmente affermato che il partito avrebbe appoggiato le misure prese dal governo di Rajoy per riportare una legalità costituzionale in Catalogna, dopo la dichiarazione d’indipendenza, il numero tre del partito, Àbalos aveva parlato dell’incertezza di definire chiaramente che tipo di dichiarazione d’indipendenza fosse stata fatta al Parlamento catalano aggiungendo che «non ci sarà alcuna possibilità di “dialogo” senza un ritorno alla legalità» e di non fidarsi per niente dell’intenzione del governo catalano di avviare un vero dialogo con le autorità di Madrid.

Intanto il governo di Madrid sembra voler trattare quella di martedì sera come una dichiarazione d’indipendenza in piena regola, nonostante non abbia alcun effetto giuridico.
Un Consiglio dei ministri straordinario é stato subito convocato per decidere delle misure concrete per rispondere alla dichiarazione di indipendenza fatta da Puigdemont al Parlamento catalano.
Non si sa che tipo di misure deciderà di prendere il governo spagnolo. Da giorni si parla della possibile applicazione dell’articolo 155 della Costituzione, cioè quello che permetterebbe al governo di Madrid di sospendere l’autonomia della Catalogna e sostituire i membri del suo governo. Il problema è che l’articolo 155 non è mai stato applicato e non è chiaro cosa significhi esattamente “sospendere l’autonomia” di una regione spagnola. C’è poi da considerare che la Catalogna dispone di una forza di polizia che risponde direttamente al governo catalano, i Mossos d’Esquadra, che già il giorno del referendum aveva mostrato di essere molto vicina alla causa indipendentista: un’altra cosa che non si sa è come potrebbero reagire i Mossos di fronte a una dura reazione del governo di Madrid.

Agli occhi del diritto internazionale anche, questa dichiarazione è alquanto anomala. Si tratta, con grande probabilità, di una "prima volta" sulla scena internazionale. È pertanto difficile qualificarla giuridicamente. Non solo il diritto internazionale non vede di buon occhio le dichiarazioni d'indipendenza che comporterebbero un distaccamento dal territorio statale senza giustificazione di oppressione, dominazione o discriminazione, ma inoltre è difficile attribuire un valore giuridico ad una dichiarazione che prima annuncia qualcosa e poi ne blocca gli effetti. La contraddizione intrinseca che un tale gesto comporta sembra più voler associare la dichiarazione ad una minaccia politica, al risultato di una ricerca di equilibri senza voler realmente trasformarsi in qualcosa di concreto.

Pertanto, tutte le domande sulle conseguenze reali della secessione, sono, anche loro, sospese. Non trattandosi ad oggi di una vera indipendenza se non sulle intenzioni, bisognerà attendere lo scorrere dei prossimi giorni per assistere ai prossimi passi che saranno fatti da entrambe le parti per poter interpretare una realtà divergente, confusa e divisa esattamente come l'attuale scenario politico spagnolo.

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