La Thailandia, un'economia forte, ma un'incapacità ad attirare investimenti stranieri
La Thailandia è oggi la seconda più grande economia del sud-est asiatico dopo l'Indonesia e, con un reddito medio elevato, offre una base economica solida per i paesi vicini, in via di sviluppo.
Malgrado innumerevoli crisi politiche ed economiche, le catastrofi naturali e l'attentato che ha colpito Bangkok nell'agosto del 2015, l'economia del Paese si è rivelata capace di superare lo choc. Nel 2016, l'economia thai ha mostrato una ripresa modesta con una crescita economica stimata intorno al 3% del PIL, in leggera progressione nel 2017.
Tuttavia questo tasso di crescita rimane relativamente basso rispetto ad altri Stati vicini che hanno una crescita molto rapida e ciò ne fa lo Stato del sud-est asiatico con l'economia più lenta.
Se i militari ed i loro alleati hanno stabilito il controllo grazie alla Costituzione approvata nell'agosto 2016 per via referendaria, gli osservatori internazionali hanno potuto notare che questo regime non ha riuscito a trainare l'economia verso una la tanto attesa ripresa. Inoltre, c'è grande incertezza sulle reali capacità dell'esercito di gestire l'economia nazionale.
Rispetto ad altri Paesi vicini, come il Vietnam, la Thailandia resta un Paese ben poco attraente per gli investimenti stranieri. Certo, si tratta ancora di un'economia emergente che dipende molto dalle esportazioni (circa i due terzi del PIL) , membro attivo dell'ASEAN e aperta al commercio internazionale che rappresenta circa il 123% del PIL, secondo dati recenti dell'Organizzazione Mondiale del Commercio. I suoi principali partner commerciali esteri sono la Cina, il Giappone, gli USA, la Malesia e gli Emirati arabi. Da questi Paesi la Thailandia importa materiali elettrici ed elettronici, combustibili minerali, petrolio, ferro, acciaio e materiali plastici. Ciò ne fa il 24o esportatore ed importatore al mondo.
A livello costituzionale, la Thailandia è governata da una monarchia costituzionale. Il Re è capo di Stato e la monarchia è ereditaria. Il Re detiene ben pochi poteri diretti ma raccoglie il rispetto popolare e detiene una grande autorità morale di cui ha potuto far uso per risolvere crisi politiche che minacciavano la stabilità del Paese. Il Primo Ministro è capo del Governo e detiene nelle sue mani il potere esecutivo. Con l'ultima Costituzione approvata ad agosto 2016, un individuo non membro del Parlamento può divenire Primo Ministro.
Le 76 province thailandesi sono amministrate da un Governatori e divise in circoscrizioni, sotto-circoscrizioni (tambons) e villaggi.
Malgrado questi elementi, malgrado una manodopera qualificata, una situazione geografica strategica nel cuore del sud-est asiatico e nella regione del Mekong dove i nuovi Stati emergenti hanno un grande potenziale economico, malgrado una politica in favore degli investimenti e della promozione del libero scambio ed un regime d'investimenti conforme alle regole dell'Organizzazione mondiale del commercio, la Thailandia ha visto diminuire in maniera esponenziale gli investimenti sul suo territorio. Il flusso di investimenti è sceso negli ultimi 3 anni da 4 809 a 1 554... Probabilmente la ragione è da ricercarla nella carenza di infrastrutture, di lavoratori qualificati, nell'incertezza politica e nell'alto tasso di pirateggio e contraffazione.
Inoltre, certi settori d'attività sono monopolio thailandese (media, riso, allevamento, pesca, estrazione d'erbe medicinali, commercio e vendita d'oggetti d'antiquariato, risorse naturali...), riservati ai soli cittadini thai e gli investimenti in questi settori non possono rappresentare più del 50% del capitale, tranne nel caso di un'autorizzazione speciale o del pagamento di tasse estremamente elevate che finiscono con lo scoraggiare l'investitore straniero. Molte attività sono soggette ad autorizzazione specifica: contabilità, servizi giuridici, architettura, ingegneria, commercio al dettaglio e all'ingrosso, alberghi, vendita di prodotti alimentari e bevande... Insomma, la lista è lunga e sembra voler ricordare agli stranieri che sono e saranno sempre stranieri, e che da un momento all'altro lo Stato può intervenire. Questo certamente non stimola l'investimento.
Tuttavia, il Governo thai sembra reagire con il Board of Investment che offre una serie di incitazioni in sei settori industriali, come per esempio, un'esagerazione fiscale per 8 anni per le imprese, il 50% di riduzione delle tasse, la doppia deduzione delle spese di trasporto, elettricità e spese di approvvigionamento ed il 25% di deduzione sui benefici netti per le spese d'installazione ed i costi di costruzione nei sei settori (agricoltura e agroalimentare, automobile, energie rinnovabili ed alternative, elettronica e tecnologie dell'informatica e della comunicazione, moda, servizi quali turismo, salute e divertimenti).
Inoltre, nel dicembre 2014, il Consiglio thailandese per l'investimento ha approvato la Strategia di 7 anni per la promozione degli investimenti (2015-2021) per tutti quegli investimenti che possono avere un effetto positivo sulla società e sull'ambiente. Tale strategia favorisce le industrie tecnologiche ed innovative e le industrie nel settore del servizi che sostengono lo sviluppo dell'economia numerica e le attività che ricorrono alle risorse locali.
In conclusione, malgrado un'economia vivace, la Thailandia resta oggi un Paese relativamente debole per attirare fondi stranieri, la cui situazione politica è stabile solo in apparenza, in cui i diritti non sono intesi nello stesso modo in cui sono intesi nei Paesi occidentali ed in cui uno straniero rimarrà sempre straniero, sorvegliato e controllato a distanza. La sola progressione economica non basta per fare di questo Paese, e di tanti altri, un Paese aperto e libero. Molti sforzi devono ancora esser fatti in materia di mentalità del Governo se realmente la Thailandia vorrà emergere.
Malgrado innumerevoli crisi politiche ed economiche, le catastrofi naturali e l'attentato che ha colpito Bangkok nell'agosto del 2015, l'economia del Paese si è rivelata capace di superare lo choc. Nel 2016, l'economia thai ha mostrato una ripresa modesta con una crescita economica stimata intorno al 3% del PIL, in leggera progressione nel 2017.
Tuttavia questo tasso di crescita rimane relativamente basso rispetto ad altri Stati vicini che hanno una crescita molto rapida e ciò ne fa lo Stato del sud-est asiatico con l'economia più lenta.
Se i militari ed i loro alleati hanno stabilito il controllo grazie alla Costituzione approvata nell'agosto 2016 per via referendaria, gli osservatori internazionali hanno potuto notare che questo regime non ha riuscito a trainare l'economia verso una la tanto attesa ripresa. Inoltre, c'è grande incertezza sulle reali capacità dell'esercito di gestire l'economia nazionale.
Rispetto ad altri Paesi vicini, come il Vietnam, la Thailandia resta un Paese ben poco attraente per gli investimenti stranieri. Certo, si tratta ancora di un'economia emergente che dipende molto dalle esportazioni (circa i due terzi del PIL) , membro attivo dell'ASEAN e aperta al commercio internazionale che rappresenta circa il 123% del PIL, secondo dati recenti dell'Organizzazione Mondiale del Commercio. I suoi principali partner commerciali esteri sono la Cina, il Giappone, gli USA, la Malesia e gli Emirati arabi. Da questi Paesi la Thailandia importa materiali elettrici ed elettronici, combustibili minerali, petrolio, ferro, acciaio e materiali plastici. Ciò ne fa il 24o esportatore ed importatore al mondo.
A livello costituzionale, la Thailandia è governata da una monarchia costituzionale. Il Re è capo di Stato e la monarchia è ereditaria. Il Re detiene ben pochi poteri diretti ma raccoglie il rispetto popolare e detiene una grande autorità morale di cui ha potuto far uso per risolvere crisi politiche che minacciavano la stabilità del Paese. Il Primo Ministro è capo del Governo e detiene nelle sue mani il potere esecutivo. Con l'ultima Costituzione approvata ad agosto 2016, un individuo non membro del Parlamento può divenire Primo Ministro.
Le 76 province thailandesi sono amministrate da un Governatori e divise in circoscrizioni, sotto-circoscrizioni (tambons) e villaggi.
Malgrado questi elementi, malgrado una manodopera qualificata, una situazione geografica strategica nel cuore del sud-est asiatico e nella regione del Mekong dove i nuovi Stati emergenti hanno un grande potenziale economico, malgrado una politica in favore degli investimenti e della promozione del libero scambio ed un regime d'investimenti conforme alle regole dell'Organizzazione mondiale del commercio, la Thailandia ha visto diminuire in maniera esponenziale gli investimenti sul suo territorio. Il flusso di investimenti è sceso negli ultimi 3 anni da 4 809 a 1 554... Probabilmente la ragione è da ricercarla nella carenza di infrastrutture, di lavoratori qualificati, nell'incertezza politica e nell'alto tasso di pirateggio e contraffazione.
Inoltre, certi settori d'attività sono monopolio thailandese (media, riso, allevamento, pesca, estrazione d'erbe medicinali, commercio e vendita d'oggetti d'antiquariato, risorse naturali...), riservati ai soli cittadini thai e gli investimenti in questi settori non possono rappresentare più del 50% del capitale, tranne nel caso di un'autorizzazione speciale o del pagamento di tasse estremamente elevate che finiscono con lo scoraggiare l'investitore straniero. Molte attività sono soggette ad autorizzazione specifica: contabilità, servizi giuridici, architettura, ingegneria, commercio al dettaglio e all'ingrosso, alberghi, vendita di prodotti alimentari e bevande... Insomma, la lista è lunga e sembra voler ricordare agli stranieri che sono e saranno sempre stranieri, e che da un momento all'altro lo Stato può intervenire. Questo certamente non stimola l'investimento.
Tuttavia, il Governo thai sembra reagire con il Board of Investment che offre una serie di incitazioni in sei settori industriali, come per esempio, un'esagerazione fiscale per 8 anni per le imprese, il 50% di riduzione delle tasse, la doppia deduzione delle spese di trasporto, elettricità e spese di approvvigionamento ed il 25% di deduzione sui benefici netti per le spese d'installazione ed i costi di costruzione nei sei settori (agricoltura e agroalimentare, automobile, energie rinnovabili ed alternative, elettronica e tecnologie dell'informatica e della comunicazione, moda, servizi quali turismo, salute e divertimenti).
Inoltre, nel dicembre 2014, il Consiglio thailandese per l'investimento ha approvato la Strategia di 7 anni per la promozione degli investimenti (2015-2021) per tutti quegli investimenti che possono avere un effetto positivo sulla società e sull'ambiente. Tale strategia favorisce le industrie tecnologiche ed innovative e le industrie nel settore del servizi che sostengono lo sviluppo dell'economia numerica e le attività che ricorrono alle risorse locali.
In conclusione, malgrado un'economia vivace, la Thailandia resta oggi un Paese relativamente debole per attirare fondi stranieri, la cui situazione politica è stabile solo in apparenza, in cui i diritti non sono intesi nello stesso modo in cui sono intesi nei Paesi occidentali ed in cui uno straniero rimarrà sempre straniero, sorvegliato e controllato a distanza. La sola progressione economica non basta per fare di questo Paese, e di tanti altri, un Paese aperto e libero. Molti sforzi devono ancora esser fatti in materia di mentalità del Governo se realmente la Thailandia vorrà emergere.
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